di Luigi e Michele Motta
Superfici non toccate dall’esarazione glaciale, con forme che possono avere età prequaternarie, superiori ai due milioni di anni.
Le rocce dell’anfiteatro morenico e dei suoi dintorni hanno una grande varietà d’aspetti, avendo avuto tre possibili storie geologiche, a seconda che siano state toccate o no dal ghiacciaio e dai suoi depositi:
• superfici non toccate dall’esarazione glaciale, con forme potenzialmente antichissime, prequaternarie;
• superfici esarate dal ghiacciaio e rimaste esposte con la deglaciazione, le cui forme superficiali non sono più antiche del Pleistocene medio;
• superfici esarate dal ghiacciaio e sepolte da till, le cui forme d’alterazione sono nate dopo la riesumazione, operata dal ruscellamento diffuso nel corso dell’Olocene.
Sui versanti mai toccati dall’esarazione glaciale i processi di degradazione, operanti almeno dal Pleistocene medio, hanno quasi completamente disgregato le rocce affioranti. Fanno eccezione le creste spartiacque e i versanti dove si alternano rocce facilmente erodibili, e rocce più resistenti che, demolite più lentamente, formano speroni rocciosi in rilievo. Le forme più tipiche delle rocce affioranti sono i tor, cataste di blocchi rocciosi, in parte completamente isolati dal substrato, ma che non hanno subito processi di trasporto. I tor abbondano sulle creste dei rilievi alpini sovrastanti l’anfiteatro morenico, mentre mancano nelle Alpi più elevate, dove sono stati asportati dai ghiacciai: così la loro presenza distingue le aree non toccate dall’ultima glaciazione. Allo sbocco delle valli Susa e Sangone pochissime superfici rocciose esarate dal ghiacciaio e rimaste esposte con la deglaciazione non sono state modificate dall’uomo. Le più belle si trovano sulla cresta Nord del Monte Pirchiriano, dove mostrano ben conservati segni dell’esarazione glaciale sino verso i 750 m s.l.m., che è anche la quota del terrazzo glaciale su cui sorge San Pietro, forse formato nel Pleistocene medio. In altre pareti della bassa valle, di roccia più alterabile, come le pareti sopra Caprie, i diecimila anni intercorsi dall’ultima glaciazione a oggi sono stati più che sufficienti ad alterare totalmente la superficie, dandogli l’aspetto del formaggio gruviera (honeycombing). Le superfici di diversi massi erratici sono caratterizzate da alterazione scarsa o nulla, tanto che si possono talvolta osservare le superfici d’esarazione glaciale originarie. Ciò indica una storia geologica di esarazione glaciale, seppellimento sotto gli altri depositi morenici e recente riesumazione. Tuttavia, alcuni processi di degradazione sono talmente rapidi che possono interessare anche questo gruppo di superfici, nonostante siano esumate da pochi secoli. Diversi massi erratici tendono a suddividersi dopo l’esumazione in blocchi minori lungo i giunti, a causa sia del proprio stesso peso (Pera Filbert, Pietra Salomone), sia dell’azione delle radici di alberi quali il bagolaro, che s’insediano sui massi allargando le fessure della roccia in tempi comparabili con quelli della vita umana. Sulle superfici sommitali l’accumulo di foglie degli alberi facilita il ristagno dell’umidità e con esso la formazione di un suolo e l’alterazione chimica.
Sulle “pietre verdi” lo sviluppo di forme d’alterazione chimica ha velocità tale da originare forme ben definite in qualche secolo di esposizione della roccia agli agenti atmosferici. Se si osserva quali minerali siano alterati e in che misura, si vede che i minerali più alterabili (pirosseni e anfiboli), sono quasi sempre in parte alterati, i minerali mediamente alterabili (serpentino e miche) si alterano solo dove le fessure concentrano l’umidità e favoriscono le azioni biologiche; infine il K-feldspato e il quarzo rimangono sempre inalterati. È un tipo d’alterazione pienamente compatibile con l’attuale clima temperato della regione, a dimostrazione che l’alterazione è recente e avvenuta dopo la riesumazione. Non tutti i massi erratici sono stati seppelliti e riesumati: per alcuni è quasi certo che fossero già in superficie al momento della deposizione, come quelli del versante sudoccidentale del Moncuni, dove il till è solo una sottile copertura sulle serpentiniti e lherzoliti del substrato. In questi casi, sono presenti forme d’alterazione anche su rocce costituite da minerali resistenti, come gneiss granitoide o serpentinite.