di Leonardo Zappalà
I percorsi più facili si svolgono principalmente su sentiero, quelli più difficili prevalentemente nel fitto del bosco senza usare i sentieri, ma solamente attraversandoli per giungere da un punto all’altro
L’Orienteering è chiamato lo “Sport dei Boschi”, perché il suo campo di gara ideale è il bosco, ma si può praticare anche in altri ambienti quali centri storici, parchi pubblici, campagne…
Chi pratica l’orienteering agonistico usa normalmente un abbigliamento specifico ed una bussola, ma i principianti possono anche iniziare senza nessun tipo di attrezzatura particolare: solo lo spirito di avventura è necessario. Al momento dell’iscrizione viene consegnato un cartellinotestimone che l’atleta dovrà punzonare in gara, mentre nelle competizioni maggiori si utilizza un sistema di controllo elettronico con un microchip. I concorrenti partono ad intervalli di alcuni minuti l’uno dall’altro: al via, si riceve la carta del terreno di gara su cui sono disegnati dei cerchietti rossi o viola che rappresentano la posizione dei punti di controllo; la partenza, invece, è segnata con un triangolo rosso o viola. Il concorrente deve raggiungere i punti di controllo nella stessa sequenza in cui sono numerati sulla carta. Ad ogni punto si situa una lanterna (segnale bianco-arancio), dove l’atleta troverà un punzone con cui marcare il proprio passaggio sul cartellino testimone personale. Al traguardo viene rilevato il tempo ed il cartellino testimone viene ritirato e controllato: se le punzonature sono complete, vince colui che ha impiegato meno tempo.
Nella prova di orientamento ci sono due livelli per poter avanzare, procedere con sicurezza senza timore di perdersi: la lettura della mappa particolareggiata e l’osservazione delle forme del terreno. Una volta stabilito l’obiettivo da raggiungere e definito con certezza il luogo in cui ci si trova, si stabilisce a ritroso la migliore strada per arrivare all’obiettivo passando per varie “linee conduttrici” quali sentieri, bordo prati, canalette, rii, recinzioni…
Se ci si perde diventa fondamentale sapersi rilocalizzare, cioè trovare sul terreno un particolare più evidente degli altri (un masso erratico enorme, un chiaro bivio di strade-sentieri, un prato dalla forma inconfondibile…) e individuarlo sulla mappa: così si può ripartire con maggior sollievo. Imparare a leggere con attenzione una mappa dà la possibilità di conoscere l’area da attraversare, di scorgerne parti di storia, di comprenderne la morfologia, di apprezzarne ogni elemento: un masso erratico, per esempio, è bello perché esiste, ma anche perché riesco a ritrovarlo nel bosco grazie alla mappa ed al mio senso dell’orientamento.